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Video non convenzionali: Vine e i tour a 360°

Siamo sempre più abituati a vedere grandi e piccoli brand che implementano azioni non convenzionali (mai sentito parlare di guerilla marketing?) con l’obiettivo ultimo di catturare l’attenzione di un potenziale consumatore facendo leva su determinate sensazioni, le sue emozioni del tutto spontanee.

Video non convenzionali: Vine e i tour a 360°. Ricordate il fenomeno del video "Gangnam Style"? Nello schema sono riportate le stupefacenti statistiche di visualizzazione. Ecco questo vuol dire virale: un tot di persone hanno visto il video nelle prime due settimane, il doppio nella terza, il quadruplo nei successivi 4 giorni e così via.

Ricordate il fenomeno del video “Gangnam Style”? Nello schema sono riportate le stupefacenti statistiche di visualizzazione. Ecco questo vuol dire virale: un tot di persone hanno visto il video nelle prime due settimane, il doppio nella terza, il quadruplo nei successivi 4 giorni e così via.

Dunque se hai finito le idee per promuovere la tua attività forse è il momento di pensare a qualcosa di non convenzionale: una strategia virale. E i social networks sono i mezzi perfetti per far girare i tuoi contenuti virali. L’utente medio italiano vi è connesso nel suo tempo libero e non vuole leggere contenuti troppo impegnati: proprio in questo momento entra in gioco il video virale e proprio in questo momento la memoria del fruitore del video, guardando dei contenuti semiseri, assimila, spesso senza rendersene conto, quello che sta vedendo!

Ma vogliamo degli esempi concreti! Eccone due.

  • Vine viene acquistata da Twitter nell’ottobre 2012 e viene resa disponibile al pubblico il 24 gennaio 2013. Il 9 aprile 2013 diviene l’applicazione gratuita con più download dall’App Store e bastano un paio di mesi per rendere Vine l’applicazione di video sharing più utilizzata sia del market Apple che di quello Google. Vine introduce il concetto di looping video (microvideo di 6 secondi che si ripetono all’infinito) e loop counts. Ma non solo… la vera novità creativa è questa: per filmare è sufficiente tenere il dito premuto sullo schermo. Infatti se lo spostate si interromperanno le riprese e potrete ripetere la stessa operazione magari cambiando punto di vista, o aspettando del tempo, giocando con la regia.
  • Il Tour virtuale a 360° collegato alla tua attività iscritta regolarmente a Google My Business e quindi presente nelle mappe di Google è un investimento ad alto tasso di interesse. Avrai la tua vetrina virtuale sul motore di ricerca più utilizzato d’Italia, Google appunto, e aumenterai la tua visibilità. Ecco qualche dato da una ricerca di Google Street View a prova di questa tesi: gli utenti che visualizzano una scheda con un tour virtuale hanno il doppio della probabilità di essere interessati a una visita, in particolare gli utenti da 18 a 34 anni sono più propensi del 130% a prenotare basandosi su un tour. Il 67% desidera più schede di attività commerciali con tour virtuali, dei rimanenti il 26% è indifferente e il 7% afferma che non sono necessari più tour virtuali. Google inoltre è il n° 1 nelle ricerche a livello locale.

Social Customer Care: ancora poca tempestività

Quotidianamente affrontiamo la battaglia di far capire alle nostre aziende l’importanza decisiva dell’attenzione da riservare al cliente, e dunque al proprio dipendente, primo sostenitore online del brand. Il Social Customer Service è già ampiamente sfruttato e considerato priorità per molti che stanno già sperimentando strumenti “social” di aiuto al cliente: uno su tutti la messaggistica privata di Facebook Pages, ormai interamente dedicata all’assistenza clienti (implementati infatti i badge che premiano pubblicamente le Pagine e il nuovo layout con scheda del cliente e storico delle relazioni con lui intrattenute).

Ma facciamo un passo indietro. I dati di una recente ricerca dimostrano quanto, ancora, brand e aziende siano in difetto nel rispondere ai quesiti degli utenti. Nonostante la tendenza crescente dei consumatori, quindi, a usare i canali social per interagire con imprese e organizzazioni si registra un forte ritardo nel social customer care.

L’analisi è di Valentina Citati.

Troppe mancate risposte

Uno studio di Sprout Social ha raccolto più di 255 milioni di messaggi di circa 119.000 profili pubblici (di cui 66.000 su Fb e 55.000 su Twitter) giungendo a risultati davvero inquietanti per certi versi!

Infatti, secondo le statistiche, nell’ultimo trimestre del 2015 oltre l’80% delle richieste degli utenti sono state ignorate. Inoltre il tasso di risposta è diminuito proprio nel periodo prefestivo e festivo (novembre-dicembre) in cui, logicamente, sono aumentati i messaggi dei fan o follower (+21% rispetto all’anno precedente). Ciò indica anche una mancata percezione e monitoraggio da parte delle aziende nei confronti dei comportamenti del loro pubblico.

Social Customer Care: ancora poca tempestività. Quotidianamente affrontiamo la battaglia di far capire alle nostre aziende l’importanza decisiva dell'attenzione da riservare al cliente, e dunque al proprio dipendente, primo sostenitore online del brand. Il Social Customer Service è già ampiamente sfruttato e considerato priorità per molti che stanno già sperimentando strumenti "social" di aiuto al cliente: uno su tutti la messaggistica privata di Facebook Pages, ormai interamente dedicata all'assistenza clienti (implementati infatti i badge che premiano pubblicamente le Pagine e il nuovo layout con scheda del cliente e storico delle relazioni con lui intrattenute).

Risposte poco tempestive

Altro dato sconfortante è che coloro che rispondono lo fanno con lentezza venendo meno al principio di tempestività che caratterizza la stessa presenza sui social. Come anticipavamo a inizio articolo, Facebook di recente, proprio per accrescere il tasso e tempo di risposta, ha introdotto il simbolo di “elevata reattività dei messaggi” (very responsive to messages) che premia le pagine aziendali che rispondono in media in 3 minuti; chi frequenta i social network infatti si aspetta non solo una risposta ma anche che questa arrivi velocemente! Ebbene, anche questa aspettativa viene delusa: il tempo di risposta medio è di 12 ore.

Facebook vs Twitter

Dallo studio emerge un altro dato interessante: sembra che gli utenti usino di più Facebook (+7%) per inviare le loro richieste e domande alle aziende. Il sorpasso, in particolare, si è registrato nell’ultimo quadrimestre del 2015, sebbene poi le aziende tendano a rispondere maggiormente su Twitter (+114% rispetto allo scorso anno). Ciò può essere dovuto ad una percezione di maggiore reciprocità su Twitter rispetto a Fb in cui gli utenti sono visti più come una massa. Secondo voi?

L’evoluzione dei consumatori online

I consumatori online che effettuano almeno un acquisto online ogni tre mesi rappresentano ormai il 36% della popolazione internet italiana. Sono oltre 11 milioni i consumatori abituali (ossia che effettuano online almeno un acquisto al mese). Lo scontrino medio è di 89 euro, con una ripartizione quasi equivalente tra prodotti e servizi. Il valore degli acquisti online degli italiani nel 2015 ha raggiunto i 16,6 miliardi di euro con un incremento in valore del 16% rispetto al 2014, pari a oltre 2,2 miliardi di euro.

Alessandro Perego, direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, afferma:

Contribuiscono a questa crescita i settori che hanno trainato l’eCommerce fino ad oggi, come il Turismo (+14%), l’Informatica ed elettronica (+21%) e l’Abbigliamento (+19%), ma anche l’Editoria (+31%) e, finalmente, i settori emergenti come il Food&Grocery, l’Arredamento e Home living e il Beauty. La penetrazione dell’eCommerce raggiunge il 4% delle vendite retail, ma siamo ancora lontani dai principali mercati occidentali (Francia, Germania, UK e USA) dove l’eCommerce ha raggiunto livelli di diffusione fino a quattro volte più elevati. La strada per trasformare il commercio elettronico in una reale consuetudine di acquisto è tracciata dai principali player: occorre migliorare le prestazioni dei cosiddetti basics, ossia gamma, prezzo e servizio.

Roberto Liscia, Presidente Netcomm, afferma inoltre:

Il consumatore online si sta evolvendo in un acquirente multicanale e multidevice, che non concepisce la sua customer experience come un insieme strutturato di canali e strumenti ma è alla ricerca di un unicum nel quale trovare coerenza e continuità durante la sua interazione con l’azienda. Secondo i dati del Net Retail, 8,5 milioni di individui lo scorso anno hanno cercato informazioni online mentre osservavano un prodotto in un negozio (cosiddetto fenomeno dell’info-commerce). Al tempo stesso si osserva anche la dinamica opposta, il fenomeno dello showrooming: 13,6 milioni di consumatori cercano oggi in un negozio un prodotto già visto online nel mese precedente. Questi dati mostrano molto chiaramente come il consumatore utilizzi canali online e offline non in maniera alternativa o cannibalizzando l’uno con l’altro, ma semplicemente ricercando in ognuno di essi la soddisfazione del bisogno che in quel momento lo spinge ad interagirvi.

L'evoluzione dei consumatori online. I consumatori online che effettuano almeno un acquisto online ogni tre mesi rappresentano ormai il 36% della popolazione internet italiana. Sono oltre 11 milioni i consumatori abituali (ossia che effettuano online almeno un acquisto al mese). Lo scontrino medio è di 89 euro, con una ripartizione quasi equivalente tra prodotti e servizi. Il valore degli acquisti online degli italiani nel 2015 ha raggiunto i 16,6 miliardi di euro con un incremento in valore del 16% rispetto al 2014, pari a oltre 2,2 miliardi di euro.

Nuove tendenze: mobile e insight

Nell’esperienza d’acquisto dei consumatori online, i dispositivi mobile giocano un ruolo sempre più importante: gli acquisti effettuati tramite smartphone e tablet nel 2015 sono aumentati del 64% e valgono il 21% della mole eCommerce totale.

Secondo le ultime analisi di “Think with Google” i dispositivi mobili sono soprattutto determinanti per le ricerche e le decisioni relative agli acquisti. Essere presenti nei “momenti che contano” sui dispositivi mobili è essenziale: le aziende e i brand devono, oggi più che mai, riuscire ad interagire con i consumatori, ad ogni occasione e su tutti i dispositivi.

Avremo modo di approfondire, di come anche uno shop online debba essere di tipo responsive, né più né meno di un sito web, e debba essere coadiuvato da una solerte attività di web analytics e web marketing.

L’era delle Recensioni facili

Il web in questi ultimissimi anni ha reso molto più facile per i consumatori trovare informazioni su prodotti o servizi prima dell’acquisto. Queste informazioni spesso, per non dire sempre, rispondono al nome di recensioni: infatti gli attuali consumatori online non si fidano più delle pubblicità, passive e prepotenti, per promuovere i propri prodotti ma si fidano di più delle esperienze altrui, di quei feedback provenienti da persone che effettivamente hanno provato il prodotto o servizio. 

Siti come TripAdvisor e, i meno famosi, YelpFoursquare, lo stesso Google MyBusiness, sono solo alcuni degli esempi di come il web degli ultimi anni abbia risposto a questo bisogno di “conoscenza”; in uno studio effettuato dalla Harvard Business School, il 90% dei consumatori ammette che le proprie decisioni d’acquisto sono fortemente influenzate da ciò che leggono online.

I siti a marchio TripAdvisor rappresentano la più grande community di viaggiatori del mondo, con 350 milioni di visitatori unici ogni mese e più di 290 milioni di recensioni e opinioni relative a 5.3 milioni di alloggi, ristoranti e attrazioni. I siti operano in 47 Paesi.

Le recensioni online hanno reso il consumatore più “smart” costringendo le aziende a modificare la propria strategia di marketing ovvero, come dicevamo poc’anzi, non è più abbastanza pubblicizzare il proprio prodotto o servizio spiegando quanto sia buono e quanto sia bello ma bisogna soprattutto lavorare in maniera pro attiva per ricevere autentiche recensioni dai clienti.

I limiti del sistema di recensioni

Il valore delle false recensioni è inestimabile. Lo studio della Harvard Business School ritiene che queste siano in grado di influenzare un acquisto o una prenotazione online in modo importante. L’incremento dei guadagni per un albergo o un ristorate con buone recensioni è stimato fra il 5 e il 9%. Di contro, una brutta nomea digitale può avere effetti pesantissimi sul fatturato.

Specialmente nel settore del turismo e della ospitalità, i commenti contraffatti e le recensioni fasulle hanno danneggiato i siti di recensioni online come Tripadvisor o Yelp fin dall’inizio e ancora oggi rappresentano il problema più grande che i brand (e i clienti!) hanno con questi siti. Secondo dati a cura di Gartner, un’azienda che si occupa di ricerca IT, almeno il 15% delle recensioni online non sono attendibili. Del resto un portale come TripAdvisor ha dei limiti strutturali:

  • la redazione non può verificare con precisione tutte le informazioni in esso contenute
  • è possibile scrivere e far scrivere recensioni a pagamento su TripAdvisor
  • presenta alcuni errori geografici (località sbagliate, errata denominazione dei locali, locali sono inseriti nelle città capoluogo di provincia anche se invece sono situati in paesi lontani dal capoluogo
  • alcuni locali compaiono più volte con nomi leggermente diversi
  • i locali chiusi restano in rete a lungo dopo la chiusura
  • locali talvolta ospitano recensioni inappropriate relative alle nuove gestioni che sono subentrate allo stesso indirizzo
  • foto associate a località estranee all’area geografica trattata

Lo scorso dicembre l’azienda è finita nel mirino dell’antitrust: multa di mezzo milione di euro per avere diffuso “informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni” online, tali da poter indurre in errore una vasta platea di consumatori. Sta lavorando sodo per ridurre al minimo il problema ma, per stessa ammissione della società, evitare le recensioni false in Rete è impossibile. Questa politica però non può evitare il fenomeno dei fake account, ovvero chi descrive un’esperienza positiva “a comando” per favorire un hotel, o negativa, per danneggiare la concorrenza.

L'era delle Recensioni facili. Il web in questi ultimissimi anni ha reso molto più facile per i consumatori trovare informazioni su prodotti o servizi prima dell'acquisto. Queste informazioni spesso, per non dire sempre, rispondono al nome di recensioni: infatti gli attuali consumatori online non si fidano più delle pubblicità, passive e prepotenti, per promuovere i propri prodotti ma si fidano di più delle esperienze altrui, di quei feedback provenienti da persone che effettivamente hanno provato il prodotto o servizio. 

Anche Amazon si sta muovendo in questo senso, e intanto ha presentato denuncia contro alcuni portali di false recensioni come buyamazonreviews.com, buyazonreviews.com, bayreviews.net ecc.

3 semplici contromosse

E’ dunque importante per l’azienda monitorare e rafforzare la propria reputazione online per riuscire a fronteggiare e appiattire con forza anche queste situazioni negative. Ecco le nostre 3 contromosse.

  1. Investire sul Social Customer Care 
    Nell’era di Facebook, Twitter, Instagram e LinkedIn, per citare i più diffusi in Italia, la comunicazione aziendale deve investire sul potere della propria community di affezionati, costruttori spesso inconsapevoli della reputazione del tuo brand. Chiaramente le regole cambiano a seconda del canale ma in Italia, a nostro parere, il feedback ideale è innanzitutto su Facebook, imprescindibile averlo: attraverso i commenti ai post, alle foto dei vostri prodotti, alle domande che ponete ai vostri fan.
  2. Dialogare con i clienti o potenziali tali
    Leggere di clienti insoddisfatti pubblicamente su blog o social aziendali è altamente controproducente per la reputazione online del tuo brand, inoltre anche le recensioni negative sono una preziosa fonte di spunti costruttivi. Aprite il dialogo con i vostri clienti, rispondete alle domande, anche a quelle scomode, non cancellate mai un commento negativo perché un cliente insoddisfatto se diventa un cliente ignorato diventerà una pericolosa bomba a orologeria per la reputazione online. Offritevi invece di conciliare la cattiva esperienza con un nuovo prodotto o servizio mostrando attenzione come se il cliente fosse fisicamente lì con voi…
  3. Chiamare all’azione
    Spingete l’utente che vi segue a intraprendere anche attivamente una determinata azione. Se la tua azienda ha per esempio appena lanciato un nuovo servizio, o magari ha appena lanciato la sua app per mobile, fornite chiaramente un link in cui dare la possibilità di commentare e recensire quello che si sta utilizzando, nel caso di un nuovo prodotto offrite dei campioni gratuiti agli influencer del settore con lo scopo di ottenere recensioni. Questa tipologia di azione è fondamentale sia per ricevere un buon feedback da parte dei consumatori sia per trasmettere un senso di trasparenza. Per esempio il fenomeno dei fake account può essere facilmente mitigato se abbiamo un numero elevato di recensioni, le quali possono neutralizzare le eventuali recensioni pilotate.

Don’t panic! In generale, se si dispone di un buon prodotto, non sarà difficile per le persone dire della vostra azienda cose altrettanto positive.

Cos’è l’App Store Optimization (ASO)?

I nuovi dati Audiweb asseriscono che in Italia a dicembre 2015:

  • ci sono stati ben 22,4 milioni di utenti unici mensili da dispositivi mobili (il 50,9% degli italiani)
  • il tempo speso online è di circa 1 ora e 40 minuti per persona al giorno
  • il 73,3% del tempo totale speso online è generato dalla fruizione di internet, specialmente se si tratta di donne o giovani
  • l’80,4% di questo tempo è speso utilizzando un’app

Dunque, come già vi spiegavamo, smartphone, tablet e altri dispositivi mobili hanno di fatto cambiato il nostro modo di vivere, permettendoci un accesso alle informazioni, che siano news, giochi, video o messaggi instantanei, sempre più rapido e in mobilità. Tutto ciò ovviamente ha creato una forte competizione e delle vere e proprio sfide tra le diverse app negli app store, così come succede coi siti sull’ormai “vecchio” Google: i due più conosciuti app store (Google Play e Itunes) contengono circa 4 milioni di app, due anni fa erano solo la metà…

Ecco le due principali sfide, così come le espone @simonecinelli esperto mobile marketing.

Prima sfida: riuscire a far trovare la propria applicazione

Posizionare la propria app nei primi risultati di ricerca nello store è fondamentale. Come la SEO per il web, l’App Store Optimization (ASO) è l’attività basilare che permette ad un’app, prima durante e dopo il lancio, di avere la miglior visibilità nei confronti della concorrenza. E’ il processo di ottimizzazione continuo di un’applicazione mobile, per collocarsi nei primi risultati di ricerca degli store dedicati. L’obiettivo dell’attività di ASO è quello di mettere l’applicazione nella condizione ottimale per competere sulla ricerca organica, ottenendo maggiore visibilità sullo store. Questa maggiore visibilità si traduce in maggior traffico sulla pagina dell’applicazione e di fatto in un aumento delle probabilità che venga poi effettuato il download e il primo utilizzo dell’app.

Seconda sfida: riuscire a coinvolgere nel lungo periodo

La nostra app è posizionata molto bene e riceve molti download? Perfetto ma non basta affatto: un’app installata sul proprio smartphone che viene utilizzata poco o male o addirittura mai, vale zero. Qui entrano in gioco nuove KPI (metriche con valore più alto rispetto ai meri download) e nuove attività di engagement con gli utenti (ad esempio le Push notification o gli In-App messages).

Nella maggior parte dei casi si assiste ad un picco iniziale di download ed utilizzo e poi a una lenta decadenza, fino all’abbandono completo. L’ottimizzazione e l’analisi continua permettono di individuare le aree critiche che portano gli utenti a lasciare l’app. L’esperienza vissuta nei primi secondi di utilizzo dell’applicazione, il cosiddetto effetto wow, porta le persone a ritornare sull’app, ad utilizzarla e consigliarla agli amici.

E’ necessario dunque avere una specifica strategia di Mobile Engagement coerente con le caratteristiche dell’applicazione ed i vostri obiettivi (di business, di monetizzazione, ecc) che guidi l’utente ad un uso ripetuto.

Generare vendite con il Remarketing

Ci rivolgiamo a te proprietario di un sito eCommerce: lo sai che il tasso medio di abbandono del carrello del tuo shop è almeno del 69%? (dati Baymard Institute, 2016)

I motivi dell’abbandono possono essere molteplici ma, tra tutti, questi due motivi principali potrebbero aver distratto il visitatore spingendolo in ultima istanza a uscire.

  1. Il tuo sito in fatto di web design è poco accattivante
  2. Il tuo sito non offre un’esperienza di acquisto semplice e trasparente: forse i processi di checkout sono complicati, le opzioni di pagamento sono limitate o peggio i prezzi non sono sufficientemente chiari.

Ma questo non significa che il potenziale cliente odia il vostro brand e non potrà mai acquistare da voi. Piuttosto, significa che ha perso la motivazione e deviato la sua attenzione, forse la foto delle vacanze di un amico su Facebook. Si può far ritrovare motivazione al visitatore?

Oltre all’ottimizzazione del tuo sito c’è una strategia di marketing che può aiutare in questa situazione: si chiama Remarketing (o Retargeting) ed è il sistema di pianificazione che ti permette attraverso molteplici mezzi di raggiungere utenti che in precedenza hanno visitato il tuo sito web. Quando viene eseguito al momento giusto ti aiuterà a chiudere la vendita. E infatti ogni anno miliardi di dollari vengono spesi su questa strategia…

Non hai mai ricevuto una email da Amazon in base ai vostri acquisti passati? Non hai mai ricevuto una email che ti motivasse a completare l’acquisto? Cole Haan, nell’esempio qui sotto raffigurato, informa il visitatore che il check-out è ancora “a portata di clic”.

Poi c’è il remarketing in campo advertising: i tuoi annunci possono essere personalizzati e mostrati solo agli utenti che hanno compiuto precise interazioni nel tuo sito web, oppure che cercano parole chiave pertinenti con i tuoi prodotti. Guardate l’esempio qui di seguito, in cui gli stivali Cole Haan appaiono sulla barra laterale destra di Facebook.

Generare vendite con il Remarketing. Oltre all'ottimizzazione del tuo sito c'è una strategia di marketing che può aiutare in questa situazione: si chiama Remarketing (o Retargeting) ed è il sistema di pianificazione che ti permette attraverso molteplici mezzi di raggiungere utenti che in precedenza hanno visitato il tuo sito web. Quando viene eseguito al momento giusto ti aiuterà a chiudere la vendita. E infatti ogni anno miliardi di dollari vengono spesi su questa strategia...

Ora però ti chiederai: un servizio così personalizzato non è che poi risulta poco apprezzato, anzi dannoso? Assolutamente no, pensaci: è sempre più facile coinvolgere un utente che ha mostrato già un certo livello di interesse in voi, piuttosto che cercare di acquisire clic per la prima volta.

Questo è il motivo per cui il remarketing funziona. I dati statistici dimostrano chiaramente che una bassissima percentuale degli utenti che accedono ad un sito web concretizzano una conversione alla prima visita: ci vogliono, in media, almeno 3-4 visite al tuo shop per acquisire fiducia e quindi la prospettiva per un acquisto, solo il 95% dei nuovi visitatori sono lì solo per valutare, non per acquistare.

Il verdetto è chiaro: ha senso usare parte del tuo budget pubblicitario verso il remarketing. I tassi di conversione sono direttamente proporzionali al numero di visualizzazioni dello stesso annuncio perché l’efficacia del remarketing è data dal fatto che la pubblicità è convogliata verso utenti che conoscono già i tuoi prodotti.

Cosa permette il remarketing?

Quando un utente entra nel tuo shop/sito web o interagisce con il tuo marchio (per es. cliccando su un annuncio sul web) egli viene etichettato con un cookie implementato ad hoc per tenere traccia di lui, solitamente per 14-30 giorni a seconda dei casi. Poi, attraverso un annuncio (Google, Facebook o anche Instagram), possiamo “inseguirlo” per ricordargli cioò per cui era venuto a farci visita.

Ma la massa di consigli e buone pratiche per lanciare con successo le campagne di remarketing può sopraffare, si può essere confusi circa la piattaforma giusta o la tempistica della campagna. L’intervento di un’agenzia qualificata è preferibile.